This way or no way


14 gennaio 2016
David Bowie è morto da tre giorni, tre giorni dopo il lancio del suo ultimo disco.
Da tre giorni non faccio altra cosa che ascoltare ossessivamente Blackstar, Lazarus e Slip Away.
A volte mi si bagnano gli occhi.
Non so perchè: è un autore che mi ha avuto solo da adulto, di cui non sono mai stato ossessionato.
Eppure c’è qualcosa nella sua vita, nella sua arte e (forse soprattutto) nella sua morte, che ha infilato il braccio nei miei abissi ed ha afferrato qualche altra cosa molto importante laggiù in fondo, nella mia stessa essenza.
Anche adesso sento l’urgenza insensata di scrivere (cosa che ormai faccio sempre più di rado) fiumi di parole su carta e non so il perchè.

David Bowie innanzitutto è morto come un gigante.
È morto come sarebbero dovuti morire tutti i grandi: sapendo di morire e decidendo di lasciare qualcosa di enorme agli altri.
Artista.
Genio.
E quello che ci ha lasciato è di una dimensione smisurata.
Almeno per me, almeno adesso.
Prendete la canzone Blackstar.
Io non ho la cultura musicale per riconoscere i riferimenti underground cui si è ispirato, ma ha costruito un pezzo di un’originalitá e profonditá che a me paiono fuori dal comune.
L’inizio (il video inizia con il ritrovamento di Major Tom, con cui tutto era iniziato, ovviamente morto) mi ricorda tantissimo le sperimentazioni dei Radiohead e soprattutto Kid A (occhio ho giá detto che non sono un esperto come te), ma soprattutto mi trasmette (trasmette a me!!!), sofferenza, deserto, palude, desolazione.
Il percorso di una malattia, incerto e misterioso soprattutto, non potrebbe essere messo meglio in musica: una batteria elettronica ossessiva, un ritmo sincopato, un canto che pare un lamento, un sax che entra stridulo, (nel video due ragazzi, uno bianco e l’altro di colore - le due anime di Bowie - danzano a scatti, ossessivi, come morsi dal ballo di San Vito).
Condannato senza possibilitá di grazia (“in the day of execution/ in the day of execution”), Bowie decide di passare gli ultimi mesi “nel braccio della morte” a sublimare la sua arte e lasciare di sé un ricordo “pieno”.
Il ritmo sincopato della musica dilaniante arriva al suo culmine al minuto 3:50 circa, quando il brano (e la malattia) pare spegnersi e la musica si infila in un groviglio ovattato di voci e mani che si spingono verso l’ascoltatore.
Il tunnel.
E mentre ti lasci alle spalle quelle voci inquietanti e le mani ancora si protendono verso te, vedi te stesso camminare, proseguire oltre, si diffonde lentamente una musica “angelica”.
Luce, luce pura, sale alta con tre note sole

Qualcosa successe il giorno della sua morte
Lo spirito si sollevó di un metro e si fece da parte
Qualcun altro prese il suo posto, e coraggiosamente pianse


Puoi arrivare a disegnare la tua stessa morte con dei colori tanto vividi?
C’è mai riuscito nessuno?
La musica parte dolce come un soul degli anni degli anni 80 vergine, regolare, solare.
I fiati accompagnano la passeggiata di Bowie, le doppie voci ripetono “I’m a Black Star” (ma a me pare I’m a Black Soul), il ritmo è spensierato e commovente.
Bowie per un paio di minuti dá un suono al Paradiso.
E mentre la musica ritorna nella palude (il ciclo della vita continua per qualcun altro che prenderá il suo posto- che “coraggiosamente pianse”…), mi viene alla mente mio padre, appoggiato sul tavolo di morte, sereno, alto, libero, lieve, bello.
Libero come quell’uccellino blue (“just like that blue bird”) di cui parla nell’altro pezzo: Lazarus (che è come se fosse l’altra faccia di Blackstar)

E qui veniamo a Lazarus, altro colpo di genio spettacolare, (che inizia e finisce con un giro di basso che pare una vecchia canzone dei Cure) di un uomo che in punto di morte estrae il meglio di ció che artisticamente è stato, della sua esperienza, della sua sensibilitá, delle sue capacitá.
Un giro di basso come quelli che Robert Smith faceva 30 anni fa ed un sax che piange e geme a farne da contraltare.
Il tutto appare così moderno, così jazz, così intenso.
Anche quando è ossessivo e dark.
Un tappeto ed un’armonia di suoni, così soave… quasi un accompagnamento verso un’altra dimensione, il conto da pagare ad una vita di eccessi, l’accordo con la Stella Nera, che viene a riscuotere 3 giorni dopo il lancio del disco.

This way or no way

“In questo modo o in nessun altro modo”, niente mezze misure.
E lo vedi ballare nel video come se non fosse vecchio e malato, come Ziggy Stardust, come quando era un mimo, come allora, come se non stesse per morire.
Una dignitá che supera i tempi e le mode e si staglia sopra qualsiasi altro artista si sia avvicinato coscientemente alla morte
Un urlo.
L’urlo di un gigante.
Chi altri ha saputo arrivare a tanto?
Chi altri ha saputo utilizzare la propria personale condanna a morte per estrarre il meglio di sé per regalarlo agli altri, lasciandoci un ricordo, uno spazio ed un vuoto se possibile ancora più grandi?

David Bowie ha un urgenza (come io ho un’urgenza): comunicare, lasciare qualcosa di enorme prima di morire.
Ma a me pare anche che lui mandi un messaggio al mondo, agli artisti, a me stesso, a chiunque: “Fai qualcosa di importante. Sii all'altezza di te stesso. Sempre”

Fai qualcosa di importante
This way or no way

Ed è quello che sento io e nessun altro.
Eternamente agradecido

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