La leva calcistica del 2007


Il bambino dell’Aluche prende palla poco oltre il centrocampo.
Il pallone rimbalza alto nel cielo terso di una mattinata invernale assai fredda.
È così presto che se guardi dall’altra parte dell’alba vedi ancora scampoli di notte e padri insonnoliti, stretti nei loro cappotti.
Il bambino ha due difensori davanti e nessun compagno davanti a se.
Guarda in direzione della porta avversaria e studia in un attimo tutte le opzioni.
Il bambino dell’Aluche si vede che ha gamba, è grande e può rischiare di fare quello che in qualsiasi altro campo di calcio sarebbe un colpo parrocchiale.
Carica il destro e scaglia il pallone contro le nuvole, alla disperata.
Il pallone fa un arco in cielo, vola lento a sfidare la forza di gravitá mentre si avvicina con serenitá verso la porta.
E tu lo vedi arrivare.
Vedi arrivare il treno a tutta velocitá davanti ai tuoi occhi ed esistono leggi della fisica che potrebbero calcolare il momento esatto dell’impatto al centesimo di secondo; vedi arrivare il ragazzo fico che si porta via la ragazzina a cui tu scrivevi segrete carte d’amore; vedi il medico di tuo padre scuotere la testa e dargli una data di scadenza; vedi scorrere davanti tutta la sequenza di errori che non saresti mai stato in grado di non fare anche se lo avessi voluto, portandosi dietro il carico, piombato, di conseguenze ineluttabili che abbassano le spalle.
Si chiama INEVITABILE, ma questo è un concetto troppo complicato da spiegare a un portiere di 8 anni.
Lui non lo sa, ma per la prima volta si trova davanti a una cosa chiamata “destino”.
Quello peggiore, quello che non puoi cambiare, quello che ti rende impotente.
Quello che ti insegna.
Lo riconoscerai presto nella tua vita e non sarai mai preparato.
Per lui è solo una palla che vola apparentemente innocua nel cielo, da fermare con le mani; ma il padre, appostato dietro la porta, come i vecchi davanti ai cantieri, assapora giá il gusto amaro di tutta la sua impotenza dal momento in cui il pallone è stato scagliato.
Lui immagina.
Sbaglia nell’indovinare.
Conosce il tremore dell’emozione e la solenne importanza di quelle competizioni inutili.
La vita a volte piega le gambe; le palle a palombella piegano le mani.
E come in un copione giá scritto, vedi quel pallone troppo pesante rotolare lentamente dentro la porta, tuo figlio correre indietro alla disperata, sacrificando la schiena contro il palo, e la ineluttabile conseguenza delle responsabilità gravare sulle sue spalle.

Usciamo dal campo in silenzio.
Entrambi.
Ho come l’impressione che abbia vissuto e superato la prima sottile linea rossa della sua vita, che separa l’ingenuitá dalla maturazione.

Figlio non aver paura di parare un palla a palombella.
Non è mica da questi particolari che si giudica un portiere.
Un portiere lo vedi dal coraggio… e tu ne hai da vendere.
Solo sbagliando s’impara.
Solo le cicatrici ti indicano la strada da non percorrere.
Solo gli errori ti permettono di comprendere e migliorare.
Ma questa mattina è ancora troppo presto... vieni qua, abbracciami forte…

(Dai “Diari di un padre di portiere” dello scrittore russo Aleksey Punturovsky)

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