San Sebastian 12 luglio 2008
Il Kursal è un auditorium completamente in vetro, diviso tra l’Atlantico, verso cui si protende e il fiume Urumea che lo bagna nei suoi ultimi metri di cammino.
Un posto incredibilmente suggestivo e innovativo, anche se all’interno, nonostante la profusione di legno e modernitá, l’acustica lascia abbastanza a desiderare.
Siamo in 1800.
1798 persone vestite casual, piú una donna in abito scollato ed un uomo con le scarpe nere lucide.
Tom Waits entra in scena alle 21 e 50.
Al centro del palcoscenico è costruita una piccola pedana sopraelevata rotonda, con un microfono ed alcuni oggetti improbabili come un campanello a pedale; tutt’attorno megafoni ed una scenografia, semplice quanto calda.
5 soli musicisti tutt’attorno alla pedana: batteria, contrabbasso, chitarre, “pianole” e fiati.
Sembra di stare in un salone di casa o in un concerto jazz degli anni 30.
Quando Waits entra in scena, cantando quello che credo sia il singolo piú famoso di “Orphane”, si fa teatro.
Come una marionetta tenuta insieme da centinaia di invisibili fili, si sdinoccola e muove i suoi arti con gesta prosaiche e da oratore.
Il suo pugno, le sue giunture, la sua testa, si dimenano in un ballo convulso e austero al tempo stesso; il busto rimane sempre diritto, la voce potentissima.
L’unico artificio scenico è dato da delle vecchie travi di legno, poste sotto i suoi piedi, utilizzate come una gran cassa da Waits, e da cui si sparge, ad ogni calcio, una enorme nuvola di vera polvere.`
Un concerto di Tom Waits, me ne rendo conto ben presto, non potrá mai essere un compendio delle fasi musicali di questo artista, ma solo la libera interpretazione di una parte infinitesimale della sua carriera.
Quella che lui racconta in questo tour è forse, la parte piú “tradizionale” e blues della sua opera, tutti i pezzi che suona sono arrangiati in quest’ottica, e ogni brano pare costruito proprio per appropriarsi e reinterpretare la musica di colore piú ancestrale del profondo Sud americano.
“Chocolate Jesus” suonata col banjo, in questo senso, è forse il manifesto piú nitido di questo tour.
Ma anche i pezzi nuovi che ho ascoltato e che non conoscevo, mi sono piaciuti molto.
Ma c’è anche tanto tanto jazz, molta improvvisazione e spazio lasciato a fiati e contrabbasso, anche se tutto incridibilmente rigoroso e apparentemente semplice (nessuna concessione al be bop, tutto rigorosamente ha un senso quadrato, quasi sempre in 4/4).
Si mette al pianoforte solo per suonare non piú di 3/ 4 pezzi.
Ed inbraccia la chitarra solo una volta.
Per il resto è uno show di volontá di potenza, con quella voce ormai arrivata a livelli di profonditá baritonali, che riesce, lei sì, da sola, a fare scricchiolare tutte quelle travi di legno e ad affondare, con brivido volgare, come un tuono prolungato, fin dentro alle profonditá piú recondite delle tue ossa!
Delude solo un poco questa estrema professionalitá dell’artista che concede solo un bis di 3 pezzi (e neanche di repertorio).
Un altro tipo di autore, piú mediterraneo, si sarebbe immerso in quel tripudio, si sarebbe concesso a quell’ovazione, almeno altre due/tre volte.
Ma lui si fa sempre accompagnare da almeno uno strumento e non cede niente al caso, all’improvvisazione o all’intimismo piú melodico.
A differenza di quell’altro artista, (fintamente??) sempre ubriaco, che praticamente lo ha plagiato in maniera quasi imbarazzante (per lui) a partire da Canzoni a Manovella, è incredibilmente professionale!
Questo per cominciare
;)
Commenti
Quando ho conosciuto l'altro artista che citi, sul palco sembrava fradicio, dopo mezz'ora al bar era più lucido di me.
Ognuno ha la sua copertina di Linus.
Bella la recensione del concerto, ma visto che ci vediamo fra poco, la voglio a voce da te e Simo che vi parlate addosso aggiungendo uno all'altro particolari e impressioni.