O sciore cchiù felice

“'O sciore cchiù felice è ‘o sciore senza radice corre comme ‘o cane senza fune ‘o sciore senza padrune”.

Queste parole mi sono ritornate nella testa da un po’ di giorni.
Imperterrita il mio cervello continua a elaborarle, a canticchiarle in un angolo remoto; non si lasciano udire fuori. Fuori non serve dirle.
Fuori non serve cantarle.
Dentro sono fuoco, dentro consumano anni; cinque ormai senza radici. Cinque, soli, ma quanto basta per recidere gli ultimi steli.
Dopo 27 anni di Terra, (e Mare), le radici sono annegate nella mia bella Napoli. E ogni volta che ci ritorno mi pare bella davvero.
E sì che quando ci vivevo era avvolta nel fumo dell’impotenza, mia e di chi come me cercava di rendere commestibile il marcio.
E ora mi pare bella. Comunque.
Coi cumuli di spazzatura e la diossina che si sta divorando i campi. (e contamina radici).
Cinque anni a correre a briglia sciolta, senza padroni, senza “casa”, senza letto fatto e cena pronta.
E mi dico che cinque anni non sono niente, una parentesi così piccina…sì, ma così intensa.
Cinque anni tra Milano, dove ho divorato storie e conoscenze e letti diversi, e Torino, dove ho concepito mio figlio.
E allora cinque anni sono tanti.
Ora Madrid, dove la nostalgia della mia terra è tornata; forse più prepotente perché qui è come là.
Qui c’è il Sole.
Oggi ci siamo distesi al Retiro e siamo tornati a casa storditi; come se il Sole non l’avessimo mai presi.
Qui c’è il flamenco. Ed è come a Napoli quando nelle masserie facevo arrevutà tutt’a ggente quanno ballavo.

In questi giorni ho ritrovato tutta la mia musica popolare, quella che è le mie radici, e mi sono messa a cantarla e a ballarla sotto gli occhi increduli e dolcissimi di mio figlio.
Lui rideva ad ogni giro che facevo, ad ogni strofa degli “E Zezi”, ad ogni suono di tammorra di Peppe Barra…
Era un incanto vedere i suoi occhi che brillavano! Era mio figlio; il suo sguardo profondo e innamorato.
E solo allora ho capito quanto non importa se le mie radici le ho lasciate a Napoli; non importa quante altre città gireremo, quante altre case abiteremo; quante altre culture incontreremo.
Gli occhi di Marcello erano le mie uniche e vere radici.

Mi mancherà sempre la mia città; mi mancheranno sempre i suoi odori.
Ma quando vai via torni solo da turista. Aveva ragione Erri De Luca.

Commenti

Golem ha detto…
«A Napoli. Quando scendo gli scalini del treno, non mi sento tornato. Invece mi sento solo, con un diritto più intimo di quello che provo altrove. Una città non perdona il distacco, che è sempre una diserzione. Sono d’accordo con lei, con la città: chi non c’era, chi è mancato, ora non c’è, è decaduto il suo diritto di cittadinanza. Ora è uno dei tanti passanti ch’essa accoglie, senza opporre resistenza, lo straniero imbambolato che nessuno scaccia, sbirciato come merce da raggiro. Ho rispetto del diritto di rigurgito che la città applica a chi se ne allontana. Se rispondo di me presso di lei è perché porto i panni dell’ospite, non del cittadino. E se non ho il diritto di definirmi apolide, posso dirmi napòlide, uno che si è raschiato dal corpo di origine, per consegnarsi al mondo.»

Non perderti nella nostaligia, per me siete esempio.
Non credere che l'assenza sia quella che senti, prova a ricordare la repulsione.
Le tue radici sono, appunto, in quel bambino, o forse in un concetto più ampio, in quegli occhi che riescono ancora a brillare pensando alle nostre radici.
Un abbraccio da lontano, che ti riporti un pò più vicino.

Un Napòlide che aspetta di andarsene.
A.
Golem ha detto…
La citazione è ovviamente tratta dal libro "Napòlide" di Erri De Luca.
topolinda ha detto…
Mio carissimo Golem,
non sai quanto le tue parole mi abbiano riscaldato. Amo Erri De Luca, tutto cio' che ha scritto, come scrive...E quando parla di Napoli lo fa con un amore cosi' forte come se la citta' davvero fosse parlante, come se davvero davvero nutrisse dei sentimenti. Ma in fondo e' cosi'. Napoli parla davvero, Napoli scaccia davvero; ripudia, "ospita" chi se n'e' andato per sempre. Perche' e' una citta' cosi' viscerale, e come tale sa anche trattarti come uno straniero.
E non hai idea quanto possa far male sentirsi stranieri quando si torna a quella che era casa.
Noi abbiamo deciso di diventare zingari, ma in fondo lo siamo sempre stati. Gli zingari conservano solo i ricordi buoni, quelli brutti appartengono a chi mette radici. Noi non le abbiamo; godiamo solo della brezza dei posti dove andiamo.
La mia Napoli sara' sempre quella citta' che vedo riflessa negli occhi di mio figlio; e la nostalgia sara' comunque sempre dietro l'angolo. Credimi, sono felice quando bussa alla mia porta...E' in quei ricordi che mi sento a casa.
Grazie.

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