Ma io ho dentro qualcosa...

Il teatro come sangue, come lacrime.
Il teatro come musica, come ritmo.
Incessante, impetuoso travolgere di piani, scene, personaggi; personaggi vissuti, personaggi sviscerati, reinterpretati, nuovi, potenti, nudi.
Pazzie, insanità, sciagure savie, che l’unica vera sciagura è quella di non interpretare il presente, di non sentirsi completamente pazzi, del tutto malati, oggi.
Il teatro come realtà, la realtà come finzione.
Io sono Iago, io sono Amleto.
Questo mi porto a casa dal mirabile spettacolo di Roberto Latini “Radiovisioni” che ho visto stasera; fine teatro di sperimentazione, dove il lavoro su testi e personaggi del panorama classico, diviene terreno vivo, contemporaneo e immediato.
Immenso, per quel mi riguarda, soprattutto nei passi dell’Edipo Re, in cui Latini, travolge ed annega lo spettatore di disperazione incalzante, scavandoti da dentro le budella le paure più intime, pugnalandoti alle spalle, negandoti la quotidianità con un innesto di musica e parole in crescendo da pelle d’oca.
Un fiume di parole che è musica più che significato.
(La musica è forse il protagonista principale e il filo conduttore di tutte le radiovisioni; una musica che agisce, stressa, schiaffeggia, le brutalità estreme dei personaggi, sollevandoli ed innalzandoli al rango di metafisica materia; una musicalità modulata dalla splendida voce di Latini in baratri e meraviglie celesti).
Ed immenso anche nel conferire il più alto valore politico e filosofico alle parole di Jarre messe in bocca all’Ubu Re; dissacrante, profondo, quasi matematico nello scardinare la banalità dei più scontati concetti sociali moderni, con un’interpretazione degna di un attore davvero grande.
Stupefacente!
Avessi sempre la sorte di potermi confrontare con temi così elevati ed un’arte così intensa, potrei pure fare a meno di respirare questa putrida aria di inizio secolo e vivere di quelle poche boccate d’ossigeno che la menzogna è in grado di offrirmi.
Menzogna che menzogna non è
Il teatro è forse l'unico modo di sopravvivere alla pazzia di essere adulti
Radiovisioni, di Roberto Latini. http://www.fortebraccioteatro.com/
Commenti
Mi è rimasto addosso il sapore di "sono libero...sono libero....sono libero e dunque schiavo “ di un Ubu magistralmente sdoppiato, per farmi investire di nuovo da tutte quelle emozioni che solo il teatro sa darmi.
La visione delle sue mani sulla testa chinata, il suo corpo che si raggomitolava e pareva cadere ad gni sollecitazione di musica, potevano appartanere “altrove”, in altri spazi di tutta quella mescolanza di parole. Ed io alle parole non ero sempre attenta, erano troppo prepotenti i suoi movimenti perché potessi seguirle, e quando le seguivo sembravano fossero modellate alla sua carne.
Pareva che ad ogni suono il suo corpo esplodesse, la voce esplodesse, le gambe tremolanti esplodessero.
Poteva raccontare l’Edipo, Ubu, Otello, Amleto, ma potevo anche non conoscere nessuna di quelle tragedie e pensare che fossero racconti di vita quotidiana; non era importante, non era importante che arrivassero didascaliche e ordinate nella testa di noi altri: si ricomponevano altrove, in quel posto magico che lo spettatore riserva alle fatiche dell’attore.
In scena ,come unici compagni di viaggio, tre microfoni; interlocutori eletti a cui narrare le vicende, venivano accarezzati, usati, chinati, sbattuti; danzavano con lui. Nella morte di Desdemona pareva morissero anche loro: si sgretolavano davanti all’ultima preghiera richiesta, più reale perché urlata dal profondo.
Mi sono arrivati gli echi di sangue ribollito, e mi è bastato per poter tornare a spegnere i riflettori sul tempo di mia vita e riaccenderli su quella piattaforma magica che è il palcoscenico.
E tutto questo mi mancava da troppo, troppo tempo.
Leggere quello che scrivete è quasi un dono che sento a me, per avervi suggerito di andare a vederlo, per non vedere delusa l'aspettativa muta di sentire e leggere quello che avete provato.
Sapevo, speravo, che sarebbe stato un bel viaggio.
Scoprire ogni volta che parliamo la stessa lingua è un balsamo per il cuore.