Gigi Meroni


Passo davanti Corso Re Umberto tutte le mattine per andare al lavoro.
Routine quotidiana.
Un lungo vialone fiancheggiato da due controviali, una delle tante arterie perpendicolari della città del demonio.
Da qualche giorno durante il tratto iniziale di Corso Re Umberto, sono preda di una malinconia inaspettata e arrivato in scooter nelle vicinanze del numero 43 rallento, mi volto indietro, avanti e di lato a cercare qualcosa.
Qualcosa che stamane con la coda dell’occhio ho finalmente trovato.
Un pezzo di granito rossastro contornato da fiori nuovi ed una corona.
Di più non sono riuscito a vedere.

Ho scoperto Gigi Meroni solo una settimana fa, grazie ad uno splendido documentario di Minoli, che non sono riuscito a finire di vedere.
Molto colpevole da parte mia che vivo a pane e calcio da quando sono nato.
Epperò la sua morte avvenne che io non ero ancora nato.
Meroni aveva solo 24 anni e la sua brevissima storia sembra essere stata disegnata da un Dio stronzo e bastardo, per entrare direttamente nel libro delle leggende.
Altro che Rimbò.
Figlio di contadini, era completamente fuori di testa, in campo e fuori.
In campo pareva Sivori, per quella leggerezza nel saltare gli avversari come birilli e quei calzini arrotolati sotto gli stinchi che pareva un ballerino.
Fuori campo era tutto tranne che un calciatore.
Rivoluzionario, anticonformista, artista, fu il primo a tenere i capelli lunghi in un mondo perbenista e bacchettone (oggi sembra assurdo) come quello del calcio dell’epoca.
Rifiutò di vivere in un grande appartamento e si rifugiò con la sua bella (una ragazzina che faceva i biglietti agli autoscontri di un Luna Park) in una mansarda di Piazza Vittorio angusta e modesta, dove dipingeva e scriveva poesie.
In campo gli lanciavano le monetine per andare dal barbiere, ma lui scanzonato e presuntuoso, pareva bullarsi di qualsiasi convenzione, per vivere alla giornata incendiando ogni singolo secondo della sua vita.
Vita interrotta 40 anni or sono da un ragazzo alla guida di una Lancia Aprilia.
Ragazzo che diversi anni più tardi acquisterà il Torino, per poi farlo fallire nel giro di pochissimi anni.

La storia di Meroni era una di quelle storie che amava Beppe Viola (di cui si celebra un anniversario – morte???- in questi giorni).
Se cercate su google troverete decine di aneddoti su questi due campioni di calcio e giornalismo.
Due poeti giganteschi nel mio cuore, di quella poesia che il calcio non è più in grado di esprimere da decenni ormai e che vive solo nella memoria di chi, come noi fantacalcisti, trova ancora il modo di ridere e scherzare su questi ricchi coglioni che corrono appresso ad una palla.
Noi che abbiamo avuto la fortuna di ascoltare le partite che iniziavano tutte insieme alla radio alle 15 dalla viva voce di Claudio Ameri e Sandro Ciotti.

Un omaggio smisurato a Gigi Meroni, Beppe Viola e al fu giuoco del calcio.

Commenti

Anonimo ha detto…
Già, punturo, già. Quanta distanza da quei tempi. Ora Meroni avrebbe un ufficio stampa che si occuperebbe del timing e del planning, e magari alla fine pure del dribbling, mentre probabilmente Beppe Viola non scriverebbe da nessuna parte se non nel suo blog.
Già, perché faceva interviste tipo questa al vincitore di tappa del Giro d'Italia:
- Come si sente ?
- Me brusa el cul

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