C'è stato un momento

Ci sono volte, nella vita di tutti noi, in cui si riceve un'illuminazione.
Una proiezione emotiva verso un futuro segreto, che ti porta a vedere, col cuore e non con la ragione, possibili scenari del tuo percorso terreno.
Questi momenti assomigliano a piccoli flash involontari di pochi decimi di secondo, in grado di illuminare un ambito nascosto, inespresso, per qualche motivo non considerato, con una nitidezza abbagliante.
Un affaccio.
Domenica scorsa, in un momento imprecisato dello svolgimento della mia seconda asta di fantacalcio in 48 ore, ho avuto una di queste illuminazioni.
L'illuminazione, messa su carta scritta, diceva più o meno questo: "Ma io senza questi stronzi qua e questo gioco (posto che le due cose siano separabili) non potrei proprio più vivere..."
E badate, non si tratta di scenari apocalittici, o amplificazioni viscerali, ma di una semplice constatazione.
Se la vita di ognuno di noi è fatta dalla propria storia, dalle proprie cicatrici, dalle proprie compagne, dal proprio segno zodiacale, dai propri convincimenti politici, dalle persone e dalle cose di cui tu, e non un altro, sei circondato, tanto da poter definire non vita, la mancanza di uno di questi aspetti fondamentali che formano il proprio essere, beh... il paragone non è esagerato.
Il fantacalcio ha cementato un concetto finora labile e caduco, come quello dell’amicizia (soprattutto ma non solo) maschile.
Ci ha dato possibilità di stare sempre in contatto, parlando di niente, ma tenendo vivo quel flusso di emozioni con cui ogni legame si alimenta.
Il fantacalcio ha sostituito quel “Ciao, come va?”, con un “Vaffanculo brutto stronzo”, riempiendo quell’abissale vuoto di parole che l’amicizia da sola (per noi uomini soprattutto), non può colmare.
Ed allora affittare un furgoncino, schiaffarci dentro tuo figlio di 15 giorni, sciropparsi 800 chilometri e 10 ore di autostrada, nell’unico WE che hai per recuperare le forze, non è un sacrificio, è la sublimazione dell’esserci, dell’essere vicino, delle relazioni, dell’amore per la gente in ultima analisi.
Non prendetemi per pazzo.
Potersi nutrire di così tante facce, potere abbracciare così tante persone, anche una volta l’anno, una ventina ad Imbersago, una ventina a Bologna, scambiarsi sorrisi, parole, carezze e doni per l’ultimo arrivato, è quanto di più riconoscente possa capitare nell’arco di una vita.
E’ sentirsi vivi.
E’ felicità allo stato puro.
E voi volete ancora continuare a chiamarlo “solamente un gioco”?

Commenti

Anonimo ha detto…
stasera ho un'altra asta, stampo questo post e lo leggo prima della prima chiamata.
ps:oggi comincia il fantacalcio. Vaffanculo.

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