Quelli del 77

Di tanto in tanto riesco ancora a imbattermi in interessanti programmi televisivi.
Sempre più rari, sempre più difficili da beccare.
Mi capita da quando una parabola fissata sul tetto, mi apre il panorama di programmi culturali non più permessi nella TV generalista di matrice dittatorial-berlusconiana.
Sono un uomo benestante e culturalmente evoluto.
Così, oggi, su Rai Sat, ho avuto la fortuna di imbattermi in un intervista di Erri De Luca sulle contestazioni giovanili del 77.
Ci sono figure che, lo ammetto, esercitano in me un fascino sublime, una sorta di innamoramento subcutaneo che sfiora corde profonde e rispetto estremo.
Erri De Luca è uno di questi.
La sua storia di uomo, così profondamente fusa e indipendente dalla sua letteratura. Così grande. Mi fa tremar le gambe e ispira pensieri più grandi.
Nel suo essere così mortalmente dolce e spietato è davvero unico.
Guardo a lui, alle sue parole, alle storie raccontate, con incredibile nostalgia.
Una generazione di piccoli e grandi uomini, che avrebbe potuto fare un’altra storia dell’Italia, ideale, sognatrice, combattente, sensibile, più giusta, finita sotto le ruote della violenza (le Brigate Rosse), della droga (penso per tutti ad Andrea Pazienza), dei soldi (penso per tutti all’ex direttore di Studio Aperto).
Degli anni ottanta.
Generazione dalle cui lotte non è rimasto niente.
E penso alla mia generazione e a quelle venute dopo di me.
Generazioni spente senza neanche avere avuto la scelta di lottare.
Generazioni spensierate e viziate.
Vuote?
I ragazzi del 68, del 77, saranno pure stati velleitari ed avranno di sicuro fallito (e la gran parte di loro sono falliti), ma per un attimo hanno avuto negli occhi la scintilla della rivolta vera.
Sbagliata, giusta?
Non importa.
Alle generazioni venute dopo cosa è rimasto?
Un Vic 20, un Mac o un Blackberry. Queste le differenti misure della nostra realizzazione verso i posteri?
Sempre più rari, sempre più difficili da beccare.
Mi capita da quando una parabola fissata sul tetto, mi apre il panorama di programmi culturali non più permessi nella TV generalista di matrice dittatorial-berlusconiana.
Sono un uomo benestante e culturalmente evoluto.
Così, oggi, su Rai Sat, ho avuto la fortuna di imbattermi in un intervista di Erri De Luca sulle contestazioni giovanili del 77.
Ci sono figure che, lo ammetto, esercitano in me un fascino sublime, una sorta di innamoramento subcutaneo che sfiora corde profonde e rispetto estremo.
Erri De Luca è uno di questi.
La sua storia di uomo, così profondamente fusa e indipendente dalla sua letteratura. Così grande. Mi fa tremar le gambe e ispira pensieri più grandi.
Nel suo essere così mortalmente dolce e spietato è davvero unico.
Guardo a lui, alle sue parole, alle storie raccontate, con incredibile nostalgia.
Una generazione di piccoli e grandi uomini, che avrebbe potuto fare un’altra storia dell’Italia, ideale, sognatrice, combattente, sensibile, più giusta, finita sotto le ruote della violenza (le Brigate Rosse), della droga (penso per tutti ad Andrea Pazienza), dei soldi (penso per tutti all’ex direttore di Studio Aperto).
Degli anni ottanta.
Generazione dalle cui lotte non è rimasto niente.
E penso alla mia generazione e a quelle venute dopo di me.
Generazioni spente senza neanche avere avuto la scelta di lottare.
Generazioni spensierate e viziate.
Vuote?
I ragazzi del 68, del 77, saranno pure stati velleitari ed avranno di sicuro fallito (e la gran parte di loro sono falliti), ma per un attimo hanno avuto negli occhi la scintilla della rivolta vera.
Sbagliata, giusta?
Non importa.
Alle generazioni venute dopo cosa è rimasto?
Un Vic 20, un Mac o un Blackberry. Queste le differenti misure della nostra realizzazione verso i posteri?
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