Broken Bycicle



Le giornate si dipanano morbide ed allentate come la panna sulla cioccolata.
I fine settimana più dei giorni lavorativi, ma con discrezione.
Questi ultimi periodi rappresentano per me la pace prima della tempesta, ne sono pienamente consapevole, e mi godo questo gentile omaggio della casa, sorseggiandone con riguardo il nettare, neanche fosse Papaia all’equatore.
La casa non si riempie di afa, anzi qualche refolo di vento fresco trapassa da parte a parte la larga sala, lasciando respirare i pori della mia pelle così come quelli dell’anima.
Da quando ho memoria di me, da quando, più che altro, ho mollato le scuole siciliane, ho sempre vissuto il periodo pre-estivo (un periodo di attesa e lavoro intenso, come l’ultimo chilometro di fatica per un maratoneta al comando), con nervosismo e isterismo estremo.
Spesso al limite dell’esaurimento.
Oggi invece, complice il singhiozzo di mio figlio e la leggera decompressione professionale di questo luglio discreto, tutto profuma di estate nella più adolescenziale accezione del termine, anche se mancano il mare e l’odore degli abbronzanti.
Con questo spirito, uno di questi giorni, mi sono affacciato al ballatoio del cortile interno di casa, a fumare una sigaretta di sfiato, scoprendo con malinconico disagio, che il vecchio del secondo piano andava via, per sempre.
Con i vestiti sempre lisi, i capelli lunghi e sempre accompagnato da un cane, lercio e antico quasi quanto lui, mi aveva intenerito e affascinato per il suo sincero e fanciullesco sorriso, per il suo modo di giocare con il compagno e, sopra ogni altra cosa, per il suo balcone.
Opposto al mio ballatoio, situato nel cortile interno, solo un piano più su di casa mia, il terrazzo del vecchio, di giorno, pareva uno dei tanti scantinati a cielo aperto che riempie la casa di ringhiera popolare in cui occupo un appartamento: un accatastamento sfastellato ed ingombrante di roba per lo più inutile e inutilizzata, di cui non riesci neanche a comprendere i contorni esterni.
Proprio come nella canzone di Tom Waits.
Ma la notte, a partire dall’8 dicembre e rigorosamente non oltre il 6 gennaio, quel balcone si illuminava delle più ammalianti luci colorate che abbia mai visto in vita mia.
Un’orgia di colori, animazioni in battere e in levare, soluzioni concentriche e divergenti, lungo tutto il ballatoio della casa, un ritaglio di Las Vegas, ma con un emozione interna ed una profondità di colore date forse dalla personalità del vecchio o dalla mia percezione delle cose.
La notte, quando andavamo a dormire, a causa di quello che preferisco chiamare un “intoppo architettonico” che non ci consente ancora di coprire con gli scuri la parte superiore delle nostre finestre, quella cascata di effetti colorati ci inondava la stanza da letto, riempiendola di calore, energia e follia, per tutta la durata del buio.
Che buio non era mai.
Ero profondamente grato al vecchio, per questi supplementari d’infanzia.
Quando nella notte mi svegliavo, venivo invaso da un’ondata di entusiasmo e pura gioia, come se fossi ancora un bambino innamorato di ogni cosa nuova che vede.
Ed il mio pensiero non poteva non andare a mio figlio: speravo di tenerlo in braccio e mostrargli, ubriaco di suggestioni luminarie, quella sbronza di colori, quello sgorgare di energia e divertimento, quei verdi, quei gialli, quei blue, quei lampeggiamenti, quelle soluzioni concentriche, quei balbettamenti, quell’incalzare, quei flash, tutto insieme e tutto temporalmente così svagato.
Me lo immaginavo incantato contro i vetri di casa, le mani tozze a sporcare di sebo la finestra, incapace di staccarsi da quello spettacolo, senza fiato.

Adesso un camion è venuto a portar via tutto.
Il vecchio non l’ho neanche visto.
Pare che abbia un grosso pallone all’altezza dell’intestino e che rifiuti di farsi curare perché non è mai entrato in un ospedale e mai vorrà entrarci.
La compagna dice che non ne avrà ancora per molto.
Un ragazzo africano sta portando via tutto in grosse buste di plastica uguali a quelle dell’immondizia.
Hanno ricevuto uno sfratto e in soli 15 giorni ha dovuto lasciare l’appartamento.
Erano davvero poveri, specializzazione oggi delegata per lo più ad extracomunitari e rumeni.
Adesso le persiane di casa sono spalancate; sui muri sono ancora presenti poche foto e qualche quadro finemente incorniciato che non porteranno più via.
Ogni tanto qualche coppia, come noi, si affaccia a visitare l’appartamento ora messo in vendita.
Sostituzione: si esce dalla vita perdendo tutto.
A me resterà sempre il rimpianto di non poter mostrare a mio figlio, quel modo così sfavillante e infantile di vivere la propria senilità, in barba al mondo e alle sue leggi.
Ingiuste sempre.
O quasi?

Commenti

Anonimo ha detto…
Anch'io ho sempre avuto la stessa sensazione osservando quel balcone; e anch'io avrei voluto vedere gli occhi di mio figlio incollati al vetro che s'illuminavano di tutti quei colori scintillanti.
Ma più di tutto, adesso ricordo l'odore della sua compagna sulle scale, quando quel giorno mi fermò dicendomi con gli occhi tristi:"Signora, mi sa che oggi sarà l'ultima volta che ci vediamo, andiamo via per sempre..."
E io che fino al giorno prima avevo intuito che c'era qualcosa che non andava: troppi scatoloni fuori quel balcone che pareva "Resina", e lei che dalla mattina all'alba,(e tante albe l'hanno vista così!)stava intenta a cucire gli ultimi brandelli di coperte, lenzuola, maglioni che noi neanche ai poverelli ci saremmo mai degnati di donare, tant'erano malconci.
Tutte le mattine vedevo solo lei, di lui e del cane neanche una più piccola traccia.
“S’imbottisce di morfina per il dolore” mi disse lei sulle scale. Ed era sudata e sporca mentre me lo diceva: aveva le mani rugose, le unghie nere, gli abiti da lavoro ma una forza che Dio solo sa quanta ce n’era!
E lo diceva proprio a me, con la voglia di parlare ancora, forse di esorcizzare questo sfratto assurdo che li aveva travolti.
Lo diceva proprio a me che ero a pezzi, con il pancione di 9 mesi e già una mattinata di stanchezza sulle gambe.
Volevo andarmene per via di quell’odore troppo forte, ma i miei occhi erano incollati sulle labbra di lei che mi raccontava la loro umile vita, quello che era il suo compagno (nonno Geppetto lo chiamavamo noi!), e le sue luci che per lui erano tutto.
Quel mondo, quella piccola “Las Vegas” era davvero ricca di emozioni fortissimi: ogni anno c’era una luce nuova, come i nastrini sulle castagnette della tammurriata, che aumentano ad ogni partecipazione della festa dedicata alla Madonna.
Credo che su quelle scale saremo rimaste una mezz’ora, in piedi su un gradino a metà di una rampa; assorbivo come una spugna tutti i pettegolezzi sulla gente che abita lì come se fossero gli ultimi barlumi di luci che si spegnevano per sempre.
Mi mancherà quel balcone.
E ho provato fastidio quando ho visto quella giovane coppia che andava a visitare l’appartamento, ormai in vendita, che si otturava il naso facendo smorfie per quell’odore forte.
Ah!Gli odori!
A volte ancora ho la sensazione che in casa nostra siano rimasti quelli dei vecchi che ci abitavano prima….e sorrido ogni volta che li sento…
Questo ricordo rimarrà sempre nei miei occhi, grazie di averlo “sentito” così intensamente...
tomina ha detto…
Andranno pure loro ad abitare in via casa comunale 2, torino.

Scusa punturo, ma tua moglie ha una gestazione d'elefante o vostro figlio è già nato?
A me sembrate incinti da una vita.
punturo ha detto…
Non dirlo a me, tomina, guarda... Non passa più, non passa più...
Ma tu le hai viste le ultime foto con la pancia?

www.dropshot.com/topolinda

e queste sono solo di un mese fa.
Adesso pare un cocomero.
Mi sa che me nasce un figlio già adolescente...
Anonimo ha detto…
Non si vede il link.
punturo ha detto…
sorry, mi ero dimenticato una s:
http://www.dropshots.com/topolinda
tomina ha detto…
Alla faccia.
E' che non c'è una pancia sola.
complimenti Punturo, ti vedo in salute...
Buona fortuna!
punturo ha detto…
Crepi il lupo... grazie mille!!!
Dopo, sarò meno in forma di sicuro.
Mi godo gli ultimi fuochi.

Besos

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