Voli che si vogliono perdere
Una volta, qualche anno fa, i gemelli Mario ed Enrico dissero di me che ero una strana bestia, perché dovevo inventarmi continuamente un cambiamento di città, di stile di vita, di ambizioni, di casa, pena la gotta, il delirium tremens o le convulsioni.
Lo ricordo perfettamente.
Lo ricordo perché non è più vero.
O quantomeno sono in una situazione di stand-by; come in attesa di passare ad un nuovo sistema operativo.
O di craccarmi (come diceva oggi quel genio di Ciolic).
Negli ultimi due mesi avrei avuto la possibilità di andare a Cape Town, Casablanca, Lisbona, Istambul ed ora Los Angeles.
Non ci sono andato, non ci andrò.
Lascio scappar via aerei che forse non torneranno più, senza il minimo cruccio o rimpianto.
Non solo: non ho goduto di nessuno dei privilegi che la mia posizione potrebbe garantirmi.
Inviti a feste, cene, concerti… ho disertato e diserto tutto, non per snobismo di sinistra, ma perché… non me ne va.
Forse, una volta raggiunte, le ambizioni non sono più interessanti oppure mi si è esaurita quella carica emotiva, assorbita molto dal lavoro, in parte dalla famiglia.
Il mio amico Pietro dice che mettono il Tavor nelle tubature dell’acqua.
Io piuttosto preferisco pensare che più facilmente stia facendo un lavoro di digestione.
Non sono più quello di una volta, non sono ancora quello di domani.
Ed allora mi metto alla finestra e aspetto, un po’ impigrito, un po’ stanco, un po’ satollo.
Ma comunque soddisfatto e ottimista.
Come di chi si mette a guardare un caldo tramonto estivo, però dalla finestra di casa.
Per me è strano.
Molto strano.
Napoleone all’isola d’Elba faceva piani per fuggire e riconquistare l’Europa.
Napoleone a capo dell’Europa faceva piani per conquistare il mondo.
Io mi sarei messo li a guardare il mare.
Il mondo ha preso (o forse ha sempre avuto) una deriva così frenetica, che queste immani e smisurate possibilità di conoscenza, di possibilità appunto, mi allontanano in fondo e mi invitano a godere delle non poche cose che ho, piuttosto che cercare quello che potrei essere/avere.
Forse verrà un giorno in cui saprò essere padre e viaggiatore, manager e comunista, marito e conquistatore, ma per questo c’è tempo… ed in giornate pre-primaverili come questa, non sogno altro che una settimana di mare con gli amici di sempre e l’odore della salsedine sulla pelle.
La pancia di Simona cresce bene, la casa ha sempre più la conformazione sognata, i soldi non bastano mai.
Lo ricordo perfettamente.
Lo ricordo perché non è più vero.
O quantomeno sono in una situazione di stand-by; come in attesa di passare ad un nuovo sistema operativo.
O di craccarmi (come diceva oggi quel genio di Ciolic).
Negli ultimi due mesi avrei avuto la possibilità di andare a Cape Town, Casablanca, Lisbona, Istambul ed ora Los Angeles.
Non ci sono andato, non ci andrò.
Lascio scappar via aerei che forse non torneranno più, senza il minimo cruccio o rimpianto.
Non solo: non ho goduto di nessuno dei privilegi che la mia posizione potrebbe garantirmi.
Inviti a feste, cene, concerti… ho disertato e diserto tutto, non per snobismo di sinistra, ma perché… non me ne va.
Forse, una volta raggiunte, le ambizioni non sono più interessanti oppure mi si è esaurita quella carica emotiva, assorbita molto dal lavoro, in parte dalla famiglia.
Il mio amico Pietro dice che mettono il Tavor nelle tubature dell’acqua.
Io piuttosto preferisco pensare che più facilmente stia facendo un lavoro di digestione.
Non sono più quello di una volta, non sono ancora quello di domani.
Ed allora mi metto alla finestra e aspetto, un po’ impigrito, un po’ stanco, un po’ satollo.
Ma comunque soddisfatto e ottimista.
Come di chi si mette a guardare un caldo tramonto estivo, però dalla finestra di casa.
Per me è strano.
Molto strano.
Napoleone all’isola d’Elba faceva piani per fuggire e riconquistare l’Europa.
Napoleone a capo dell’Europa faceva piani per conquistare il mondo.
Io mi sarei messo li a guardare il mare.
Il mondo ha preso (o forse ha sempre avuto) una deriva così frenetica, che queste immani e smisurate possibilità di conoscenza, di possibilità appunto, mi allontanano in fondo e mi invitano a godere delle non poche cose che ho, piuttosto che cercare quello che potrei essere/avere.
Forse verrà un giorno in cui saprò essere padre e viaggiatore, manager e comunista, marito e conquistatore, ma per questo c’è tempo… ed in giornate pre-primaverili come questa, non sogno altro che una settimana di mare con gli amici di sempre e l’odore della salsedine sulla pelle.
La pancia di Simona cresce bene, la casa ha sempre più la conformazione sognata, i soldi non bastano mai.
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